UN INTERESSANTE ARTICOLO DI GENNARO ACQUAVIVA PBBLICATO NEL NUMERO DI MARZO 2018 DI MONDOPERAIO CHE PARTE DAL RAPIMENTO DI MORO E DEGLI ANNI DI PIOMBO PER PARLARE DELLA SINISTRA DI ALLORA E I RAPPORTI TRA I PARTITI DELLA SINISTRA

Pubblichiamo di seguito un articolo di Gennaro Acquaviva presente nel numero di marzo 2018 della rivista "Mondoperaio" che fa riferimento ai 55 giorni del rapimento dell'On. Moro nel 1977 e ai successivi anni detti "di piombo", secondo lo stesso rappresentativi della incapacità della sinistra italiana a dotarsi di strategie efficaci e condivise

" Il maggior pregio del testo che Claudio Petruccioli ha dedicato alla vicenda Moro è che esso ci consente di tornare a collocare questo tragico episodio, decisivo nella vita della Repubblica, nel contesto suo proprio: che è semplicemente quello della politica.

Le dosi massicce di asfissiante banalità che sempre più circondano, spesso incupendola, tanta parte della nostra discussione pubblica già si apprestano a regalarci, infatti, sulle ceneri dei quarant’anni trascorsi, il ricordo di un evento raccontato spesso come fosse stata una “spy story”, con movenze quasi hollywoodiane.

>Eppure dovrebbe essere ormai chiaro e visibile per tutti - i vecchi che lo vissero ed i giovani che vogliono rifletterci sopra – che i 55 giorni di Moro, per come furono preparati, gestiti e poi conclusi, rappresentano un passaggio che fu decisivo nel farci arrivare fino al nostro difficile presente: che è poi quello dell’impotenza proclamata, ben rappresentata dagli esiti del risultato elettorale del 4 marzo.

Prendiamo un punto che a me pare utile per comprendere le cause remote di questa ineluttabilità, ma che ci può contemporaneamente servire anche a richiamare le ragioni prevalenti delle tante ambiguità interpretative ancora oggi presentissime: i cosiddetti “anni di piombo”.

Rispetto ad essi, premessa ed insieme sostanza del terrorismo nostrano come della stessa vicenda Moro, c’è ancora oggi una decisa tendenza a rimuoverne la memoria, a sottovalutarne quella che fu la sua criticità complessiva, per incasellarli assai spesso all’interno di più neutri comparti singoli, come punti di una rubrica da sfogliare: «terrorismo», «stragismo», «minacce di golpe», «inflazione a due cifre», «sequela di legislature interrotte», e simili.

Ma la sintesi di tutti questi fenomeni – sintesi che si finisce stranamente con l’eludere – fu rappresentata dallo stato di ingovernabilità crescente che allora si determinò in Italia, dopo il 1968 e l’Autunno caldo del 1969.

Ancora oggi è difficile parlare di quei tempi e di quelle cose; è come se, rispetto ad essi, ci siano implicati grossi problemi di «correttezza» politica, l’obbligo di esprimersi su certe cose in modo «politicamente corretto»: cioè, alla fine, elusivo, come se ci fossero di mezzotanti complessi e tante remore.

C’è per esempio la paura di dover dare ragione a chi, in ogni caso, allora non ce l’aveva.

In quella fase sembrava fossimo all’interno di una deriva inarrestabile, anche di governo, che sembrava scivolare sempre più inesorabilmente verso un controllo comunista

Di più: a mio avviso giocano ancora fortissimi sensi di colpa di protagonisti e simpatizzanti di quel tempo antico, sensi di colpa spesso celati per opportunismo.

C’è ancora di mezzo, per ultimo, anche la grossa questione storica di una fallita velleità di protagonismo comunista propria di quegli anni, un protagonismo che finì con il mettere paura ai protagonisti stessi....

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